Lui ha ancora le febbre. Io dico solo che, piuttosto che mettermi a scrivere, oggi mi sono messa a stirare. E non credo serva altro. Non ho ben capito cosa stia capitando quest’anno, in questo non ancora inverno, anche se, ormai da qualche settimana, le temperature un po’ gli si avvicinano.
Lui è appoggiato al cuscino, quello grande, che forse lo aiuta di notte a soffrire meno la tosse, i suoi pupazzi tutti intorno, come una corona, la sua personale corte. “Voglio andale a letto, subito, mamma!” e quando è così è sicuramente malato, meno Iena e Pestilenza, attaccato come una cozza alle gambe di colei che, in condizioni normali, a malapena sembra sopportare: “Brutta, cattiva mamma!”
Io mi sto facendo giri virtuali intorno al mondo, bianche spiagge incantate, palme assolate, mare da cartolina. Ché, negli ultimi giorni, non è che anche io fossi proprio un fiore: virus perniciosi che si attaccano come sanguisughe in tutti gli spazi di debolezza possibile; mai abbassare la guardia. Ho cercato e sto cercando di resistere“I will stand like a rock“, ma tutto ha un limite. I miei, poi, sono noti e assai evidenti.
No, non sono disperata. C’erano tempi in cui, con un mese come l’ultimo trascorso, sarei già stata alla ricerca di una bella corda con cui decorare il mio collo. In qualche parte di me c’è ancora un mare tiepido e calmo, incurante delle onde di burrasca, che si fa cullare da un piano che suona, tutt’uno con il ritmo del mondo. Non ci sono più mani, né dita, né tasti, bianchi o neri. Solo la melodia, che ho la fortuna di ascoltare ogni tanto, e che interrompe il sottofondo ininterrotto della tosse, degli starnuti, del telefono che suona, dei “Voglio vedele i caltoni!!!” Certo, la felicità è un’altra cosa, l’esaltazione del cielo cobalto che si specchia nel lago è un ricordo lontano.
Resta un pianoforte in sottofondo, un tutt’uno col suono del mondo. L’inverno non è il tempo delle cose felici.